Pizzo Bianco: Parete Sud
Siamo a Macugnaga io Ila e Rick, e dopo aver ripetuto la bella via sportiva di F. Iacchini, Alto Gradimento sull'avancorpo basale del crestone Marinelli con appresso anche il cane, volgiamo i nostri pensieri alla Joseph Ferrio sulla selvaggia parete sud del Pizzo Bianco. I pochi che conosciamo che ci sono stati ci riferiscono che trovare la via e pressoché impossibile, quindi abbondiamo col materiale. Diego ci raggiunge e prende il posto della Ila, è gran conoscitore di queste zone. Il periodo è molto caldo, e il rischio temporali pomeridiani è incombente, ma partiamo tranquilli su per la stupenda e selvaggia Val Quarazza. Dovremo partire molto presto l'indomani, e uscire il prima possibile dato che i temporali tendono a formarsi nel pomeriggio. Nei pressi di una grossa cascata le tracce si perdono in ripidi pendii erbosi inframmezzati da balze rocciose, e superiamo un piccolo alpeggio abitato da un uomo e una donna impegnati a spostare una serie di tronchi d'albero abnormi. Sembrano due vichinghi e ci osservano dall'altro lato del fiume. Non credo vedano molta gente da queste parti.
Continuiamo ora senza alcuna traccia e Diego ci distacca sotto il sole cocente, mentre io e Rick capitiamo in un campo di mirtilli e ne rimaniamo invischiati. Con le dita violacee risaliamo un canale roccioso e un ultimo pendio ripido per arrivare a una zona di blocchi dove bivaccheremo, quasi sotto la parete. Non la guardo più di tanto, mi intimorisce un poco, e ci prepariamo per la notte, osservando le bianche nebbie del fondovalle che risalgono fin poco sotto di noi.
Al risveglio con le prime luci partiamo decisi verso l'attacco della parete, un colatoio levigato da antichi ghiacciai, e risaliamo facilmente fin sotto alla parete vera e propria, verticale e a tratti strapiombante.
La roccia è incredibilmente solida, sembra quasi il protogino rosso del massiccio del Bianco. Puntiamo la caratteristica quinta arancione e prendiamo una rampa fessurata che sale alla sua destra fino ad aggirare un muretto con un passo delicato in placca. Questo primo tiro è subito difficile e non facilmente proteggibile, e Diego ci urla che può anche volare..Mai sentito da lui! Sbatte due chiodi in un fessurino e ci recupera.
Il vuoto comincia subito a farsi sentire, è molto verticale, e come al solito finché non mi metto in testa alla cordata sono nervoso, dato anche che la relazione non combacia con quello che abbiamo sotto gli occhi. Da qui parte Rick che attraverso un sistema di fessure, di cui alcune impegnative, ci porta sotto ad un fessurino infido e lichenoso, sbarrato sopra da una serie di strapiombi.
Casualmente anche una densa coltre di nubi si azzarda ad avvolgerci, e la mia inquietudine aumenta, affinché il dovere mi chiama e parto; la concentrazione scioglie tutti i pensieri nell'azione e risalgo con difficoltà la fessura fino ad una lama staccata. Posso solo percorrerla in orizzontale per poi discenderla e riportarmi al livello della sosta precedente, dove ne allestisco un'altra. Da qui sembra solo possibile scappare a sinistra con un lungo traverso su placca improteggibile, dove poi spero che si possa trovare un'uscita.
Attacco con decisione, e con difficoltà attorno al VII- mi sposto svariati metri su microtacche fino a piazzare finalmente qualche C3 traballante in un fessurino, e continuo su difficoltà minori fino ad una grossa nicchia. Il tempo sta peggiornado e dobbiamo muoverci, siamo in piena parete e carichi di ferraglia, i fulmini ringraziano. Riparto il più veloce possibile su uno strapiombo fessurato dove comincio a trovare dei vecchi chiodi, piego a sinistra e sosto. Quando gli altri due mi raggiungono sta piovendo e i boati ci fanno tremare. Di fretta e furia leghiamo tutta l'attrezzatura insieme e la caliamo nel vuoto, lontano da noi. Ci sediamo sulle corde su una cengetta al riparo da uno strapiombo e spegniamo i cellulari, smontando la batteria. Aspettiamo un tempo indefinito, affinché sembrerebbe che almeno i tuoni ci diano un po' di tregua. Esplodo in azione con un ultimo tiro uscendo con dei bei passi di blocco sulla cresta sommitale, a poche decine di metri dalla vetta. Una leggera pioggerellina mi accompagna, e di colpo sono proiettato di fronte alla himalayana parete est del Monte Rosa, finora a noi nascosta. Non c'è tempo da perdere, il maltempo continua, e dobbiamo doppiare la vetta per reperire la lunga e selvaggia via di ritorno attraverso la Val Caspisana.
A 3200m, a pochi metri dalla madonnina di vetta però vengo coperto da un'orribile sensazione di microscopici aghi che mi perforano la pelle, e di colpo tutti i peli si rizzano per la carica elettrostatica presente intorno alla vetta stessa. Sento poi un leggero brusio, la madonnina sta friggendo! Urlo agli altri di scendere di corsa da dove siamo venuti, dobbiamo cercare di passare più in basso. Ci trasferiamo sull'infida parete N, tutta di sfasciumi molto instabili, e con un lungo, esposto e marcio traverso arriviamo al colle che ci porta alla salvezza, verso il pizzo Nero e quindi per ripidi pendii, tracce di sentiero e infine strada sterrata arriviamo alle dieci di sera alla macchina, ormai di nuovo al buio, e avendo definitivamente perso Rick in un cespuglio di lamponi.
Avevamo intenzione di ripetere la via Joseph Ferrio, un TD di 480 m. Abbiamo probabilmente collegato più vie, ma ne è risultata una bellissima scalata in ambiente più che spettacolare. Andate a perdervi sulla parete, ne rimarrete entusiasti!
La via:
Raggiungere la base della parete sud, per la val Quarazza. Attaccare le facili placche nei pressi del colatoio centrale e salire senza percorso obbligato puntando ad una caratteristica quinta arancione.
Alla base della quinta prendere una rampa fessurata che sale a destra fino ad aggirare un muretto con un passo in placca a destra (1 ch lasciato). Si obliqua ancora a destra poi su dritti per fessure fino ad una comoda cengia. Andando a sinistra si trova una fessura che sale dritta per 8 m, poi obliqua a destra e di nuovo su fino a sostare su cengia (1 ch).
Da qui un lungo traverso a sinistra, difficile da proteggere, porta ad una grossa terrazza con erba e blocchi caratteristici sotto una nicchia. Si sale poi obliquando leggermente a destra (chiodi) e poi a sinistra ad una cengia.
Da qui una rampa sale verso sinistra fino ad un altro cengione, si va qualche m a sinistra e si sale dritti alla cresta sommitale con passi di blocco (ch) a pochi m dalla vetta. Per la discesa varie possibilità, sicuramente consigliabili quella sull rifugio Zamboni e quella per la val Caspisana.
Continuiamo ora senza alcuna traccia e Diego ci distacca sotto il sole cocente, mentre io e Rick capitiamo in un campo di mirtilli e ne rimaniamo invischiati. Con le dita violacee risaliamo un canale roccioso e un ultimo pendio ripido per arrivare a una zona di blocchi dove bivaccheremo, quasi sotto la parete. Non la guardo più di tanto, mi intimorisce un poco, e ci prepariamo per la notte, osservando le bianche nebbie del fondovalle che risalgono fin poco sotto di noi.
Al risveglio con le prime luci partiamo decisi verso l'attacco della parete, un colatoio levigato da antichi ghiacciai, e risaliamo facilmente fin sotto alla parete vera e propria, verticale e a tratti strapiombante.
Sulle placche inferiori, in direzione della quinta arancione al centro. |
Rick con la punta Gnifetti sullo sfondo. |
La roccia è incredibilmente solida, sembra quasi il protogino rosso del massiccio del Bianco. Puntiamo la caratteristica quinta arancione e prendiamo una rampa fessurata che sale alla sua destra fino ad aggirare un muretto con un passo delicato in placca. Questo primo tiro è subito difficile e non facilmente proteggibile, e Diego ci urla che può anche volare..Mai sentito da lui! Sbatte due chiodi in un fessurino e ci recupera.
La sosta del primo vero tiro. |
Subito per aria! |
Il vuoto comincia subito a farsi sentire, è molto verticale, e come al solito finché non mi metto in testa alla cordata sono nervoso, dato anche che la relazione non combacia con quello che abbiamo sotto gli occhi. Da qui parte Rick che attraverso un sistema di fessure, di cui alcune impegnative, ci porta sotto ad un fessurino infido e lichenoso, sbarrato sopra da una serie di strapiombi.
Casualmente anche una densa coltre di nubi si azzarda ad avvolgerci, e la mia inquietudine aumenta, affinché il dovere mi chiama e parto; la concentrazione scioglie tutti i pensieri nell'azione e risalgo con difficoltà la fessura fino ad una lama staccata. Posso solo percorrerla in orizzontale per poi discenderla e riportarmi al livello della sosta precedente, dove ne allestisco un'altra. Da qui sembra solo possibile scappare a sinistra con un lungo traverso su placca improteggibile, dove poi spero che si possa trovare un'uscita.
Il tempo comincia a guastarsi.. |
Il tiro prima del traverso. |
Attacco con decisione, e con difficoltà attorno al VII- mi sposto svariati metri su microtacche fino a piazzare finalmente qualche C3 traballante in un fessurino, e continuo su difficoltà minori fino ad una grossa nicchia. Il tempo sta peggiornado e dobbiamo muoverci, siamo in piena parete e carichi di ferraglia, i fulmini ringraziano. Riparto il più veloce possibile su uno strapiombo fessurato dove comincio a trovare dei vecchi chiodi, piego a sinistra e sosto. Quando gli altri due mi raggiungono sta piovendo e i boati ci fanno tremare. Di fretta e furia leghiamo tutta l'attrezzatura insieme e la caliamo nel vuoto, lontano da noi. Ci sediamo sulle corde su una cengetta al riparo da uno strapiombo e spegniamo i cellulari, smontando la batteria. Aspettiamo un tempo indefinito, affinché sembrerebbe che almeno i tuoni ci diano un po' di tregua. Esplodo in azione con un ultimo tiro uscendo con dei bei passi di blocco sulla cresta sommitale, a poche decine di metri dalla vetta. Una leggera pioggerellina mi accompagna, e di colpo sono proiettato di fronte alla himalayana parete est del Monte Rosa, finora a noi nascosta. Non c'è tempo da perdere, il maltempo continua, e dobbiamo doppiare la vetta per reperire la lunga e selvaggia via di ritorno attraverso la Val Caspisana.
A 3200m, a pochi metri dalla madonnina di vetta però vengo coperto da un'orribile sensazione di microscopici aghi che mi perforano la pelle, e di colpo tutti i peli si rizzano per la carica elettrostatica presente intorno alla vetta stessa. Sento poi un leggero brusio, la madonnina sta friggendo! Urlo agli altri di scendere di corsa da dove siamo venuti, dobbiamo cercare di passare più in basso. Ci trasferiamo sull'infida parete N, tutta di sfasciumi molto instabili, e con un lungo, esposto e marcio traverso arriviamo al colle che ci porta alla salvezza, verso il pizzo Nero e quindi per ripidi pendii, tracce di sentiero e infine strada sterrata arriviamo alle dieci di sera alla macchina, ormai di nuovo al buio, e avendo definitivamente perso Rick in un cespuglio di lamponi.
Avevamo intenzione di ripetere la via Joseph Ferrio, un TD di 480 m. Abbiamo probabilmente collegato più vie, ma ne è risultata una bellissima scalata in ambiente più che spettacolare. Andate a perdervi sulla parete, ne rimarrete entusiasti!
La via:
Raggiungere la base della parete sud, per la val Quarazza. Attaccare le facili placche nei pressi del colatoio centrale e salire senza percorso obbligato puntando ad una caratteristica quinta arancione.
Alla base della quinta prendere una rampa fessurata che sale a destra fino ad aggirare un muretto con un passo in placca a destra (1 ch lasciato). Si obliqua ancora a destra poi su dritti per fessure fino ad una comoda cengia. Andando a sinistra si trova una fessura che sale dritta per 8 m, poi obliqua a destra e di nuovo su fino a sostare su cengia (1 ch).
Da qui un lungo traverso a sinistra, difficile da proteggere, porta ad una grossa terrazza con erba e blocchi caratteristici sotto una nicchia. Si sale poi obliquando leggermente a destra (chiodi) e poi a sinistra ad una cengia.
Da qui una rampa sale verso sinistra fino ad un altro cengione, si va qualche m a sinistra e si sale dritti alla cresta sommitale con passi di blocco (ch) a pochi m dalla vetta. Per la discesa varie possibilità, sicuramente consigliabili quella sull rifugio Zamboni e quella per la val Caspisana.
Dislivello 480m, sviluppo ben superiore
Difficoltà fino al VI+/VII- con qualche passo in A1
Materiale: almeno una serie di friend dai C3 al C4 #3 o 4, volendo raddoppiando i piccoli. Nut, buona scelta di chiodi.
ciao
ReplyDeleteho letto per caso della tua salita cercando informazioni su posti poco frequentati e sono emersi lontanissimi ricordi...
ho fatto nel 1975 la 5 rip della bisaccia sulla sud con l'indimenticabile Luciano Bettineschi, bivaccando in un sacco della spazzatura sulla cengia all'inizio delle difficoltà con una corda ridotta a 25 metri da un sasso caduto e cunei di legno realizzati la sera prima con un ramo di abete e una stringa. una grande avventura per il ragazzino che ero in scarponi pesantissimi e pantaloni alla zuava di lana!!!
una decina d'anni dopo sono tornato per ripeterla, stavolta in scarpette e coi nut e sacco a pelo. ho di nuovo bivaccato alla cengia a ma non ho più trovato la via che avevamo percorso, ripetendo quindi più o meno la joseph ferrio. abbiamo lasciato il materiale da bivacco sulla cengia e siamo scesi in doppie per la cresta dei salti da cui l'abbiamo agevolmente recuperato. discesa consigliata.
confermo in entrambi i casi di aver percorso vie molto belle su una parete dove l'avventura è per fortuna ancora garantita, fino a quando qualche fanatico di mcdonald non la riempirà di spit.
Fa veramente piacere vedere dei "giovani" alla ricerca di pareti lontane dai riflettori!
un saluto e auguri di altre avventure
luca mozzati (luca.mozzati@gmail.com)